Ska - Kyatouk - L'amulketo maledetto

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    Scribacchino

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    Ska - Kyatouk




    L’AMULETO MALEDETTO




    DagonWalkanthara, avrei volentieri fatto a meno di questo dannato viaggio alle soglie dell’inferno. Mi ritrovo qui, in una malsana pensione di periferia in attesa del mio contatto; il posto è di quelli che non si scordano tanto facilmente: odore putrido, musi poco raccomandabili, uno scarafaggio sotto i piedi, mutumbu ovunque.

    C’era da aspettarselo dall’organizzazione che avrebbero scelto un simile tugurio per non accendere sospetti. Sono infastidito, così scalcio con irruenza la cornuta blatta sotto il mio tavolo. La maledetta conclude la sua non voluta corsa picchiando all’angolo del muro, dopo essersi ripetutamente capovolta, mescolandosi al nero del sudiciume. Una scena squallida, ma quando rialzo la testa resto affabilmente sorpreso da un’affascinante donna dal fisico atletico appena entrata.

    Non sono qui per lei, ma va bene così. Lei, un portento di gnocca piovuto dal cielo come un angelo in un campo di concentramento. Sorrido, l’aria si è smossa, e da ristagnante si è tramutata in… intrigante. Lei si siede a pochi tavoli da quello in cui mi trovo io. Lei è uno splendore dell’occidente, dalle curve mozzafiato, e la carnagione chiara: direi americana, anzi no… è indubbiamente inglese ad osservarla meglio, le maniche avvolte in un doppio risvolto e la bussola sul polso sono indice di perfezionismo; e poi ci sono i capelli legati a coda di cavallo.

    Non vuole attirare l’attenzione sciogliendo quella che senz’altro è una fluente morbida chioma; oppure le serve per muoversi con maggiore agilità nella savana. Sì, direi la seconda; eppure mi piace pensare alla prima ipotesi. Ma per svelare l’arcano non servono le ipotesi, il risultato può essere mostrato con le prove; è così che funziona in archeologia: se hai la prova non ti resta che andare ad esaminarla, scrutarla con attenzione, portarne alla luce anche i particolari più nascosti, affinché tu possa arrivare là dove si cela il segreto.

    Lei è così, decisamente più interessante del mio contatto che come al solito tarda a farsi vedere. Prima di muovermi verso di lei resto ad osservarla per alcuni istanti, come fa il cacciatore con la preda. Anche lei mi avrà notato entrando nella gargotta del “Barkos”, eppure ostenta un’aria alquanto schiva. Una fatto è certo, non si entra qui dentro per caso: quindi o si tratta di una spia, oppure sta seguendo anche lei qualche traccia interessante. Scanso la sedia da sotto il sedere e con fare deciso sono già da lei.

    - “Forse non è il momento giusto, sei d’accordo?”, mi anticipa senza alzare lo sguardo.

    E’ attenta ad interrogare i paragrafi di uno strano volume, probabilmente molto antico a valutare dall’involucro esterno e dalla polvere che ci sta sorretta addosso con ridondante gelosia. La lettura di quelle pagine gialle la affascina più della mia presenza, almeno per ora. Il suo fare arrogante mi da fastidio, ma resto calmo; mi siedo lo stesso al suo tavolo e prendo a fissarla. E’ come se non ci fossi lì, accanto a lei.

    - “Non è comportamento da lady inglese, la sua condotta che la porta a fingere di non vedermi mi pugnala nel petto, Miss…”.

    - “Desolata, Sir”, risponde lei seccata. “La comunicazione non è decisamente il mio forte”.

    E’ inglese! Non ha battuto ciglio. Si alza e preso con se il suo ambiguo fardello fa un lieve cenno con il capo per rivolgermi il saluto; poi si sottrae completamente alla mia vista, mentre io me ne resto lì ritto e fermo ancora un po’, per la verità perplesso e quasi stordito dal suo provocante odore che scivola via nel tugurio.

    Un cameriere mi avvicina con aria svagata.

    - “Stai lontano da lei, Tek… quella dannata ti causerà soltanto guai”.

    Lo osservo con aria minacciosa, ma è nel momento in cui gli penetro gli occhi con lo sguardo che riconosco in lui Martins, finalmente il mio fottuto contatto si è degnato di farsi vivo.

    Discorriamo per qualche minuto nella lingua dei mutumbu, gli autoctoni del luogo; lui finge di prendere l’ordinazione, quindi mi consegna le coordinate per agire: un lavoro fin troppo facile, tanto che mi lamento di loro per avere convocato uno come me per una contesa così semplice. Una pacca sulla spalla e torno da solo in compagnia del mio eccitante pensiero.

    Ma non sono passato inosservato, tanto che mentre sto per lasciare il Barkos un mutumbu mi viene accanto e mi sussurra qualcosa nell’orecchio in una sorta di inglese confuso ma comprensibile.

    - “Il suo manoscritto è magia nera, è arti sacrileghe; io ho visto cose spaventose a Qu Adadou. Alla larga! Bella donna è maligna: lei danza con il diavolo”.

    Una folgore. Quando mi volto verso di lui, l’uomo è già lontano da me, distaccato con passo svelto come se volesse seminare le parole appena pronunciate. Come se avesse paura di loro. Lo osservo con indifferenza pensando che se davvero ci deve essere una maledizione non ha senso scappare, perché essa ti raggiungerebbe ovunque. La magia nera, non ho mai avuto a che fare con lei, probabilmente è la suggestione che in queste zone gioca un ruolo fondamentale. Infatti la gente del posto è spesso ignorante e noi bianchi siamo soliti intimorire gli autoctoni con le nostre arcane storie, per poi compiere in tutta calma le nostre sporche faccende.


    Mi reco subito a fare il mio dovere concentrandomi sull’incarico e sulle parole di fiducia del governatore: “Io mando te non per intimidire, ma perché tu sai essere convincente; e perché tu non esisti”. Ed infatti io non esisto, io sono un’ombra nel buio della notte: io sono un fantasma. Silenzioso come il vuoto dopo avere persuaso il renitente me ne torno nella locanda. Tutto troppo veloce, tutto semplice: la missione è già finita con l’ennesimo successo. Il bifolco ha sganciato quanto doveva.

    Di solito mi dissolvo dal luogo dove ho agito, è la prassi, io non esisto; ma stavolta è diverso, voglio vedere all’opera questa paladina del demonio: saperla così… misteriosa e ribelle, mi attrae ancora di più. Ho sempre adorato le donne cattive!

    Così torno al Barkos, il mio intuito mi dice che lei è ancora qui e che devo solo stanarla. Ma appena introdotto nel mio alloggio vengo sorpreso alle spalle, qualcuno era già qui e mi stava aspettando. Indugio sentendomi puntare alla schiena un revolver, lo riconosco dalla canna. Un brivido freddo mi attraversa in un attimo tutto il corpo, facendomi letteralmente gelare il sangue nelle vene; ma cerco di comunicare calma all’esterno.

    - “Potrei averti sulla coscienza, restituisci subito quello che mi appartiene”, è la voce del demonio, la riconosco.

    - “Non ti ho preso niente, Miss”.

    Lo so che non farà fuoco, le trema sensibilmente la mano; ma respiro profondo per non pensare.
    Rimessa nel fodero la sua arma mi spinge con vigore contro il muro, mentre con la coda dell’occhio le accarezzo le cosce che cingono le sue pistole accuratamente inserite nelle guaine che gli stanno agganciate.

    - “Vediamo se dici la verità”, afferma seriosa mentre mi scruta addosso; il tocco deciso delle sue mani mi accende il motore dei pensieri. E non soltanto quello.

    Il mio fiato è greve, anche il suo lo è. La lascio fare; i suoi occhi sono glaciali, convinti, penetranti, tanto da lasciarmi senza respiro; è così bella da far venire la pelle d’oca specialmente ora che la sua capigliatura si è sciolta, grazie all’elastico che le si è spezzato nello sbattermi contro la parete. Cerca rovistando lestamente non so che cosa, quindi costatata la mia totale assenza di cattive intenzioni si rivolge a me con tono improvvisamente quasi rammaricato.

    - “Non stai nascondendo nulla, lo sento… dannazione”.

    Sorrido nell’annusare il suo sospiro di accanimento mentre si allontana per riflettere, avvicinandosi al letto.

    E’ irriducibilmente attraente, siamo soli. E le chiavi della stanza le ho io, e poi il suo palparmi mi ha provocato. Ho voglia di fare sesso, e lei è così focosa; le prendo le mani con insolita leggerezza e l’accompagno a sedersi sul materasso. Ma lei non intende stare al gioco ed estratto dalla guaina il suo revolver me lo punta dritto sul naso intimandomi di restare immobile.

    - “Muoviti, e ti fulmino”.

    Non è l’arma ad incutermi timore, piuttosto la sua flemma; mentre prima ero sul muro percepivo la sua volontà di non volermi fare realmente del male, ora invece la situazione è più adrenalinica e tutto mi fa supporre che non esiterebbe a far cantare la sua compagna.

    - “Messaggio ricevuto, baby”, replico alzando le mani in segno di resa.

    - “Le chiavi”, mi fa segno con la pistola. “Le chiavi della tua camera. Avanti bello”.

    Non ho alternative, mi conviene seguire il suo consiglio. Io voglio stare al suo gioco.

    - “Ti è andata bene, oggi sono in vena di regali”, rispondo con un finto ghigno malizioso. “Ma stai attenta, io sono un osso duro, uno che non molla”.

    Le consegno le chiavi della mia stanza senza fare ulteriori obiezioni, quindi esce definitivamente, ed io cado sul mio letto snervato: ma chi l’ha sciolta questa dobermann? Però! Quanto mi ha fatto eccitare il suo modo di fare che sia sul serio la figlia del diavolo!?!

    Intanto rigiro tra le mani lo strano oggetto di metallo che le ho agilmente tolto a sua insaputa mentre mi teneva al muro. Tornerà, sì che tornerà da me la Miss.



    E’ mattina, scendo nella hall dell’albergo quasi certo di fare il mio incontro, magari in maniera pirotecnica; di certo non mi aspetto di vederla seduta al bancone che mi aspetta. Me la vedrò piombare addosso come una furia reclamando quello che gli spetta.

    Ma quando entro attraverso la reception la mia attenzione è subito rivolta altrove: dietro l’angolo, appena pochi passi da me sta sdraiato il cadavere di un mutumbu. Il sangue dalla bocca e gli occhi sgusciati dalle orbite mi fanno immaginare ad un aggressione; a breve distanza ce n’è un altro, anche questo in orrende condizioni e con un’espressione inumana dipinta sul volto oramai spento, come se fosse morto terrorizzato. Magia nera ed arti sacrileghe, comunque tutto lascia presumere qualcosa di straordinario, di soprannaturale: che sia stata opera della dannata in cerca del suo gingillo?

    Il colpo d’occhio repentino mi conduce verso il mutumbu che mi aveva avvicinato il giorno prima: una larga lesione all’altezza dello stomaco ne scopre le parti interiori, mentre un liquido giallastro gli schiuma ancora sul pavimento; uno strano oggetto luccicante attira il mio sguardo verso il liquame: una sorta di amuleto credo con l’effigie di un idolo gli sta conficcata nella carne, dove la schiuma ancora ribolle. Il mio stato psicologico è in allarme, come consuetudine nelle situazioni di pericolo ho lo sguardo a 360 gradi per controllare ogni via di fuga ed ogni angolo sospetto, l’aggressore potrebbe ancora essere nei paraggi, e avrebbe la capacità di sorprendere anche me. Ma quando con le pupille torno sul cadavere del mutumbu straziato lo trovo in uno stato precedente a quello di esalare l’ultimo respiro, mi fissa con due occhi carichi di pentimento. Mondo boia è ancora in vita, oppure no, è animato dalle forze demoniache.

    - “La maledizione di Ska – Kyatouk, te l’avevo detto: è arrivata”.

    Un violento conato di vomito precede il suo ritorno nell’oltretomba; allucinazione o cos’altro? No, è davvero magia. E’ l’oggetto che gli sta conficcato nelle budella: un amuleto maledetto? Senza provare ribrezzo per sporcare le mie mani in quel liquido putrido ne vengo in possesso scoprendo che l’estremità bassa ha una cavità e che l’oggetto di metallo che ho sottratto alla donna del diavolo si incastrerebbe alla perfezione in quella scanalatura. Sto per inserire il perno nel tassello, ma è soltanto l’idea di un dannato attimo; ho le traveggole, è la paura a giocarmi questo tiro mancino.

    Ebbene sì, ho una fottuta paura a farlo ed avrei fatto meglio a tagliare la corda subito; forse aveva ragione il dannato che mi aveva consigliato di non avere nulla a che fare con quella maledetta femmina. Il diavolo veste sempre di bell’aspetto, e sempre si mostra agli occhi interessante. Infatti anziché lasciare cadere quell’oggetto esco di fuori per cercarla; una saetta sotto il sole rovente mi osserva, la intravedo muoversi tra gli spinosi arbusti: è lei?

    Dannato sia questo istante di affanno, dalle fronde malefiche si distacca invece un selvaggio. Non è un comune mutumbu, e dall’aspetto è alquanto bellicoso: la fronte pitturata è segno di guerra, le sue unghie sono a dismisura oblunghe; posso appena osservare il volto macabro del mio assalitore. Sbatto a terra, sono immobilizzato e nel violento impatto con il terreno lascio cadere l’amuleto ed il suo perno; e forse è la mia salvezza. L’energumeno si disinteressa completamente di me, e recuperati gli oggetti del diavolo fugge via nella fitta vegetazione. Non serve l’istinto questa volta per capire che sta accadendo qualcosa di grave. La donna la notte prima cercava l’amuleto che ha ucciso il mutumbu, pensava lo avessi io.

    Torno indietro alla locanda, è completamente inondata da locuste e parassiti impegnati a dilaniare voracemente i corpi sconquassati dei mutumbu. Li guardo ed un istante sono dappertutto, anche sopra di me, ovunque… li sento infilarsi nella bocca come nei vestiti in un turbine di violenza e distruzione.

    Sicuro di lasciarci lì le penne, mi sforzo di impugnare la mia pistola per freddarmi prima di essere divorato. Ma perdo conoscenza, le locuste infilatesi su per il naso e nella gola mi tolgono il respiro lasciandomi stramazzare al suolo.

    Ma quando recupero la cognizione mi trovo in un posto umido, non all’inferno; sono vivo! Con me c’è lei, la donna del diavolo. La guardo con due occhi carichi di rabbia, attribuendo a lei la disgrazia di quanto mi è appena capitato.

    - “Dannata, chi sei?”, inveisco contro di lei schizzando in piedi. Forse non mi piace più adesso. O forse sì, dannazione.

    Al contrario di me lei si mostra calma, e resta impassibile al mio scatto d’ira. L’espressione del suo volto non è come quella del giorno prima, non sembra affatto animata da cattive intenzioni. Mi ha salvato da una morte atroce, e con voce ferma cerca di spiegarmi che senza il suo intervento ora nessuno riconoscerebbe più il mio corpo perché le locuste si sarebbero divorate anche le mie ossa. Non le dico niente per orgoglio personale, ma non serve; lei sa che io le ho preso il sigillo, ed anche che sono finito in una spirale di morte, in un gioco di forze soprannaturali che non posso comprendere. Lo leggo nei suoi occhi rapaci, forse impassibili ma nel profondo inquieti e tormentati.

    - “Ska – Kyatouk, il tempo è nemico”, si lascia sfuggire. “Esci da questa storia e vattene”.

    Non sono abituato ad essere messo da parte, le sue parole ed il suo uscire dall’antro senza voltarsi nemmeno una volta mi fanno gelare il sangue nelle vene. Scatto di nuovo rabbiosamente in piedi e la inseguo con la pistola puntata alla schiena.

    - “Dicono che sei la donna del demonio, femmina. Ora ti scarico addosso i miei proiettili e se è vero che sei una dannata resterai in piedi senza un graffio”.

    Si volta verso di me. Per lunghi attimi restiamo immobili io e lei, i miei occhi dentro ai suoi; se cerco le fiamme dell’inferno dentro di essi mi sbaglio. Trasuda tutto, fuorché odio. Ne ho la conferma quando si decide finalmente a parlare.

    - “Torna indietro e dimentica. Il dottor Werner mi diceva da giovane: niente è quello che sembra; ma soprattutto impara a guardare. Esistono archetipi che è dato di non conoscere, né svelare; colui che suo malgrado rivolge loro lo sguardo diventa di per se un maledetto”.

    Pronunciate queste parole si volta nuovamente di spalle e prosegue il suo cammino, dovrei fare fuoco contro di lei. La mano vibra sul grilletto, il sudore accompagna la vista incanalata nel mirino; ma resto lì finché non scompare. Tanto non avrei osato sparare, e lei lo sa.

    Si alza un freddo gelido e la polvere da terra si solleva a sfocare la visione dell’ambiente orfana del fisico snello dell’avventuriera. E’ finita, rimarrà un mistero questo incontro perché ho scelto di ritirarmi dalla scena e di tornare a casa, nelle affollate strade della mia nuda metropoli di cemento dove non si parla di magia nera o idoli, né tantomeno dove locuste tentano di strapparti brandelli di carne viva; al massimo puoi soltanto crollare sul bancone di un Night Club caricato di coca dopo che ti sei fatto con una spogliarellista.

    Quando l’aria cessa di tirare libero gli occhi e… mondo infernale… davanti a me un essere con il volto coperto da una strana bautta africana mi afferra per la gola. Lascio cadere la pistola mentre la vista si sfoca con l’assenza di aria. Ne vedo tanti altri ancora, mi circondano; sono troppi i balordi mascherati. Uno di loro si avvicina e soffiandomi una polvere nel naso mi tramortisce il respiro. Di nuovo il fottuto buio s’impossessa delle mie facoltà mentali. E mi lascio cadere tra le loro mani.

    E’ un sonno da incubi quello che dolente mi accompagna nel limbo dei dannati, quando riprendo conoscenza il mio stato confusionale è ancora intenso ed un rumore assordante mi riecheggia nella testa comprimendomi le tempie. Senso di nausea e vuoto, che quella polvere fosse droga mi sembra logico; il mio stato stato di semi - incoscienza mi toglie la sorpresa della vista.

    Mi sembra quasi una situazione irreale e seppur con il passare del tempo il mio stato psico – fisico si va facendo sempre più vigile non sembro affatto sconvolto nel trovarmi al centro di una radura impalato su quello che presumibilmente dovrebbe trattarsi di un primitivo Totem: il respiro a tratti ritorna spasmodico e frenetico, lancinanti i dolori al petto. Alzo lo sguardo verso l’altissima colonna che sembra voler ghermire il cielo. Un rito satanico o a quale altra maledetta diavoleria sono destinato? E’ come un barlume di lucidità il ricordo che mi attraversa repentino la mente: le parole del mutumbu nella locanda.

    - “Il suo manoscritto è magia nera, è arti sacrileghe; io ho visto cose spaventose a Qu Adadou. Alla larga, bella donna è maligna: lei danza con il diavolo”.

    Certo! Ci troviamo nientemeno che a Qu – Adadou, il villaggio del diavolo. Questi balordi esseri stanno venerando il culto di un demone. Infatti trascorre la notte tra cerimoniali e danze macabre che si svolgono tutte ai miei piedi, sotto di me, anche se nessun maledetto finora ha osato toccarmi.

    Il cielo scuro all’improvviso si vede affidare un nuovo corpo celeste molto più esteso della luna, che finisce con l’oscurarne la candida apparenza di luce. Gli indigeni spariscono nei meandri della boscaglia che circonda la radura, mentre un alone fosco di nebbia inizia a calare tutt’intorno. Che la maledizione si stia per compiere? Non lo dico ma è così; è in questo momento che avrei desiderato essere una persona migliore: è nel momento in cui la morte viene a scovarti che si finisce inevitabilmente con il ragionare su quel Dio tanto rinnegato, ed anche sull’al di là. Ma io non sono mai stato un uomo perbene, e la mia squallida invocazione di pace suona bizzarra, quasi come una presa in giro per il Creatore, se è vero che esiste come dicono in molti.

    Ma anche i balordi come me, spogli di fede e avvezzi soltanto al guadagno senza scrupoli, hanno il loro fottuto angelo protettore; il mio è quasi certamente un dark angel: indossa la mimetica, ha lo sguardo penetrante ed il malcostume di tenere i revolver chiusi in una guaina ai lati delle cosce. Stavolta sono contento di vederla, stavolta devo cambiare giudizio su di lei, è inopinabile il fatto che nella vicenda lei sia dalla mia parte contro i selvaggi. Con il suo coltello da caccia comincia a tagliare le corde, poi mi avverte.

    - “Muovi il sedere se non vuoi che il dio Ska – Kyatouk faccia avanzi di macinato con il tuo cuore”.

    La osservo ingrato, non mi va a genio che sia lei a salvarmi ancora. Ma è così. Mi guarda con aria di superiorità che non accetto.

    - “Me la sarei cavata anche da solo, cosa credi”, la schernisco. “Però concordo che hai talento Miss; potresti anche diventare la mia donna”.

    Non ha colto la mia provocazione, la situazione è di pericolo e conta di più tagliare la corda.

    - “Sei ferito?”, mi urla lei guardandosi nei dintorni. “Tu hai assorbito per inalazione la morte di Kwala-Tampala, l’ho visto; il tuo sangue risveglierà il demone quando Landkhra si sarà allineata con la Terra”.
    Continuo a fare l’idiota e non mi rendo conto che la situazione è di proporzioni drammatiche; la polvere che ho inalato (Kwala-Tampala) e quel pianeta (Landkhra) sono oltre all’oggetto metallico che ho sottratto alla femmina le altre chiavi che liberano il demone (Ska – Kyatouk) dalla sua prigione (l’amuleto): ora il cerchio è quasi completo, resta solo da collocare lei: non è una seguace del demonio, il contrario. E’ come se fosse un’eroica paladina della giustizia che cerca di salvare il mondo. Illogico ma non impossibile, visto l’andamento della situazione. Tutto è così irreale e assurdo che stento a comprendere qualcosa di logico e razionale. L’unica cosa che mi riesce di capire bene è che ho rischiato di fare davvero una brutta fine. E non è ancora finita.

    - “Ti sembro forse ferito?”, replico con arroganza. “Non mi faccio colpire tanto facilmente, io”.

    Nel frattempo, senza destare la sua attenzione, cerco di tastarmi la schiena indolenzita, la corteccia del Totem mi ha penetrato nei vestiti e tirando fuori la mano è appunto sangue quello che strofino tra le dita. Quasi terrorizzato mi pulisco la mano inumidita dal mio liquido sui pantaloni. Sta per dirmi qualcosa, vorrebbe farlo; ma il nostro (quasi) dialogo viene troncato dal sopraggiungere di alcuni guardiani; lei mi trascina via con se.

    Siamo molto vicini adesso io e lei, così tanto che posso sentire il calore del suo corpo in trepidazione: lei, una tempesta ormonale con l’impeto di una guerriera; mai vista prima d’ora una bomba sexi maneggiare contemporaneamente con così tanta precisione e cattiveria delle armi da fuoco potenti. Tutti quegli sporchi indigeni che cadono ai suoi piedi come cani bastardi, mentre la sua coda dietro le spalle le danza irrequieta ma senza disturbare la sua furia. Lei è una bellezza assassina, impertinente; ma non trasuda risentimento, il suo è solo accanimento: un feroce accanimento contro il nemico mortale! Contro il male.

    - “Corri!”, mi esorta all’improvviso.

    Si è aperta una strada tra i corpi degli indigeni stesi a terra. Lei comincia ad avanzare rapidamente, ed io le vado dietro seppure a fatica; le fronde della boscaglia mi sfiorano appena, ma non mi percuotono. E’ molto agile, è lei ad aprire il passaggio spezzando gli arbusti con la sua lama. Sembra non pensare a me, ma non mi fermo a vedere come dovesse comportarsi se io rimanessi indietro: troppo rischioso.

    Arriviamo davanti ad un crepaccio per la verità non abbastanza largo da impedire il salto dall’altra parte. Non impossibile, ma pericoloso. Lei non esita nemmeno un solo istante e si lancia dall’altra parte; così anche io. Lei salta con scioltezza, io a stento ma comunque con successo.
    Appena pochi passi ancora, e ci siamo finalmente! Siamo davanti all’effigie mastodontica del dio guerriero Ska – Kyatouk. Lei, con i suoi occhi luminosi e affilati, ancora nel completo delle sue forze, si avvicina a me mirandomi contro le sue terribili pistole. Vedo il suo rigoglioso seno oscillare dinanzi ai miei occhi, la sua longilinea coda serpentina appoggiarsi dietro le sue scapole dopo un estenuante dondolare durante la corsa; il suo sorriso accattivante si spinge nella mia testa con spietata ferocia.

    - “Non nascondermi la verità, sento odore di sangue. Se mi attacchi non esiterò a sparare perché significa che il demone si è impadronito del tuo corpo”.

    Così dicendo sfila una chiave dalla sacca del suo zaino e scoperta la serratura ai piedi della statua apre un pertugio sulla parete opposta: la treccia le cade sul viso nel ruotarsi in direzione dello strepitio ruvido causato dall’alzarsi del pannello, e lei con un gesto dolce e sensuale la riporta al suo posto dietro le spalle. Dolce e aggressiva, che mix insolito! Che forza della natura!

    - “L’amuleto è lì”, rivela correndo in direzione del pertugio. “Ti conviene sfilarlo dal basamento di Tandura se vuoi che la maledizione si arresti. E devi farlo tu se vuoi liberarti dalla maledizione”.
    Pochi attimi persi a non pensare, poi con un groppo nella gola entro anche io nel cunicolo fino alla Grande Sala al centro della quale una sorta di altare illuminato tutto intorno da fiaccole e ceri custodisce l’amuleto maledetto. Mi precipito di corsa a prenderlo, anticipando la voce di lei.

    - “Stai fermo, non ti muovere!”

    Troppo tardi, l’amuleto è in mio possesso ma immediatamente una grossa scossa sismica fa tremare il suolo, quindi l’enorme statua alla sinistra dell’altare prende vita.

    - “Dannazione, e ora?”, grido atterrito non vedendo vie di fuga nell’antro.

    - “E’ Aramuthkja, il guardiano del tempio”, risponde lei composta ma in guardia. Sempre dannatamente calma!

    La calma invece io non so nemmeno cosa sia, e davanti a quel guerriero mostruoso con sei braccia e due enormi sciabole tremo ricoperto di autentici brividi di terrore. Ha il volto coperto da una maschera di ferro, curvati artigli che gli spuntano dalle sommità dei piedi ed un paio di ingombranti ali tozze dietro il dorso. Emette ruggiti d’oltretomba e ha l'aspetto furibondo, probabilmente perché lo abbiamo distolto dal suo sonno senza tempo.

    Si scaglia contro di me sguainando per aria le sue sciabole, mentre intanto io stringo forte tra le mani il dannato amuleto portato via dall’altare prima che il mostro si animasse. Mi avrebbe tagliato in due parti se lei non fosse intervenuta rapidamente scaricandogli addosso la sua artiglieria pesante, per poi finirlo con la sua arma più potente nascosta nel magnifico zaino: l’Aquila del Deserto.
    Il gigante di pietra si schianta sul pavimento, un attimo dopo che lei mi ha portato via dal luogo del roboante impatto. Io a terra, lei sopra di me; i suoi occhi nei miei, le sue labbra mai così vicine, il suo respiro che si infrange sul mio viso, le sue mani nelle mie… e mi lascio andare; quindi lei ne approfitta per sfilarmi l’amuleto.

    Tutto intorno a noi comincia a fremere, tra pochi attimi il tempio crollerà sopra le nostre teste. Lei con un’agile capriola schiva un grosso blocco di roccia staccatosi dal soffitto, quindi si infila nel cunicolo. Un istante ancora di esitazione, poi anche io mi scaravento verso l’uscita con fortuna e senza ossa rotte. Siamo finalmente all’aria aperta adesso, rivolgo lo sguardo velocemente intorno ed in tutte le direzioni per scovare lei… ed eccola; la raggiungo di corsa e... …

    - “Puoi tenerlo, è tuo; te lo sei meritato”. Sono il solito insolente. So che l’amuleto non me lo restituirebbe mai, anche se ora il demone che vi sta imprigionato non ha vie di fuga, distrutto il suo tempio.

    Lei non è dello stesso avviso, ma ha imparato a sopportare le mie scenate di onnipotenza, forse perché mi considera soltanto uno stolto e non un cattivo. Sa anche che se vuole mi può spazzare via in un attimo. Ed anche io lo so, seppure non lo ammetterò mai, e specialmente davanti a lei.

    - “Non è mio, ma dei mutumbu. Lo riconsegnerò a loro. Ricordalo sempre, ci sono segreti che non è dato di conoscere; e luoghi sacri ove custodire oggetti maledetti”.

    Questa volta annuisco, la sua saggezza forse mi ha contaminato un po’. E… diamine se l’ho riconosciuta adesso la mia formosa Miss. Come non ho potuto prima? Lei è il mito, lei è la storia. Lei è… l’archeologa più famosa del mondo. Lei è semplicemente lei, l’unica ed inimitabile. Lei è imbattibile, misteriosa, eccentrica, sempre leale. Devo arrendermi al suo fascino.

    - “Ok va bene! Ma se ti serve una mano, magari la prossima volta…”, le dico sicuro di me stesso, incosciente ma non arrogante. “Non fare tanto la schizzinosa, chiamami. E ti darò una mano”.

    Scuote il capo, ma non se la sente di deludermi. Lei sa che io lo so adesso.

    - “Vedrò cosa posso fare”, replica lei avviandosi dall’altra parte, concedendomi di nuovo le spalle in segno di sua manifesta superiorità. Ma questa volta non mi arrabbio, non adesso che l’ho finalmente riconosciuta.

    - “E’ stato magnifico… lavorare con te!”

    Lara, Lara… che gran pezzo di gnocca che sei!





    Scritto nell’anno 1999 al tempo di Tomb Raider III – Adventures of lara Croft e dedicato appunto a Lara Croft!



     
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